Lo sgangherato viaggio di formaziome metropolitana di un adolescente messicano
Riccardo Tavani
Tomás è un biondo, bianchiccio adolescente della desolata periferia di Veracruz che una ne immagina e cento ne mette a segno. Sua madre, stremata, lo spedisce a Città del Messico, dal fratello maggiore Fede, detto Sombra, Ombra, forse perché – diversamente da Tomás – è di capelli e pelle scura. Sombra divide, con il biondo, bianchiccio Santos, suo compagno di studi, un appartamento all’ultimo piano di un palazzone dalle cui finestre si vede in lontananza l’Università. L’appartamento è in perenne disordine e bolletta: per la corrente, infatti, passa un filo, di nascosto dai genitori, una compassionevole ragazza della porta accanto. L’Università è in stato occupazione: anch’essa perenne. Tomás ci vuole andare, ma Sombra gli dice che lui non ce lo può accompagnare, perché è “in sciopero dallo sciopero” che stanno facendo lì i suoi compagni. Poi, però, ci vanno.
Güeros è una lunga, allucinatoria, ironica scorribanda nel realismo del bianco e nero tra Città del Messico e i suoi sobborghi, una delle aree metropolitane più caoticamente sterminate del pianeta. L’impianto narrativo cinematografico classico è scardinato, come scardinata, è ormai la realtà delle periferie metropolitane, delle famiglie, delle scuole, delle Università, del cinema stesso. Due ragazzi, una leader universitaria e un adolescente in un lungo funambolico road movie su un’auto scassata alla ricerca di un vecchio e malato cantante melodico – Epigmenio Cruz – di cui l’adolescente conserva un’audio cassetta, con la custodia incrinata, lasciatagli dal padre morto. Güero nello slang indio-ispanico messicano significa biondo, pallido, bianchiccio, come a Roma – viceversa – si dice a’ moro, a’ more’. È un modo di appellare le persone, privandole di ogni loro individuale caratteristica, infatti, con Güero, infatti, è chiamato soprattutto Sombra che ha la carnagione scura, così come i romani a‘ moro lo rivolgono anche ai biondi. È un appellativo che già rende periferica la personalità, mentre i versi e la musica di quel vecchio cantante cercavano ancora di testimoniarla.
Lo sgangherato attraversamento della città e delle sue immensa periferia è insieme ricerca e smarrimento, spaesamento ma alla fine anche crudo viaggio, romanzo di formazione per Tomás. Anche il fratello Sombra può ritrovare – proprio nel ricordo del padre morto e del suo culto per quel cantante – la dignità che gli ha lasciato in eredità, ma che lui ha sepolto sotto i disordine epidermico e mentale della sua esistenza. È come se il cinema stesso oggi non potesse fare a meno di disperdersi, frantumarsi, disseminarsi nel corpo martoriato delle periferie della logica, del senso, incistate nella metropoli sconnessa nelle forme, nel suo linguaggio privo ormai di ogni unità sintattica tra immagine e racconto. Tutto questo perché anche lo spettatore oggi está desconectado, non più connesso al vecchio lenzuolo d’aria e muri sgretolati su cui era proiettata la cara vecchia realtà. Così nello spaesamento che rende visibilmente tangibile tra le strade della metropoli interiore dei suoi spettatori, Güeros diventa un film di formazione: il passaggio dalla senilità dello sguardo cinematografico a una sua possibile nuova adolescenza. Orso d’Oro a Berlino 2014 quale migliore Opera Prima, per la regia dell’esordiente Alonso Ruizpalacios.