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L’algebra e il colore delle donne
Riccardo Tavani
Tre donne, tre nere, tre geniali menti matematiche. Impiegate e discriminate in un reparto separato della Nasa a Langley, Virginia. Separato perché là ci sono solo donne, nere, addette all’elaborazione dei dati matematici e scientifici. Separato anche per i bagni, la mensa e il caffè. Come separati sono i posti sugli autobus. Sono considerate bassa manovalanza, spalatrici di bruta massa algebrico-contabile. Nell’open space del Centro Spaziale, invece, centinaia di uomini bianchi in maniche di camicia bianca, considerati il vero cervello dell’impresa areo-spaziale americana. Cervello lento, ritardato, però, perché i russi sono decisamente in vantaggio nel lancio di uomini e capsule orbitanti nella stratosfera. Non ci sono ancora elaboratori meccanici di dati e figuriamoci elettronici. Arrivano da lì a poco. Poche palle, allora: la matematica ce la devi avere nei pori della pelle, più che nelle griglie rigide e separate del cervello. E Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson la matematica, il calcolo, l’ingegneria ce l’hanno nel ritmo, nelle sistole e nelle diastoli del respiro. Solo che la discriminazione di genere e di razza le schiaccia nei reparti, nei cessi, nei termos separati del caffè che fa di quel cervello calcolante maschile e bianco il più chiuso e arretrato, anziché il più avanzato e aperto del mondo.
Il diritto di contare non solo i numeri ma i riconoscimenti come donne e nere Katherine, Dorothy e Mary devono conquistarselo palmo a palmo, dietro ogni lungo fallimentare passo algebrico e umano dell’open space in maniche di camicie bianche. Solo John Glenn, il primo astronauta yankee nello spazio, sorride subito e apertamente, fin dallo loro primo incontro, alle tre “marziane” di colore della Nasa, e prima che venga schiacciato il bottone del lancio, vuole sapere se i calcoli balistici di decollo e rientro sono stati controllati e approvati da quei tre angeli dell’algebra donna. È il 20 febbraio 1963 e rimane in orbita attorno alla Terra per 4 ore e 55 minuti.
Anche nel titolo originale Hidden Figure c’è un gioco di parole. To figure inglese significa anche calcolare, dunque cifre, calcoli nascosti, occultati. Perché poi le donne devono sempre duramente dimostrare di essere più capaci degli uomini per vedere riconosciuto il loro valore e non succede mai il contrario? E’ anche vero che così le donne – come nella hegeliana dialettica servo-padrone . diventano realmente più brave degli uomini. Solo quel genio scientifico e matematico che fu Carl Friedrich Gauss riconobbe nel remoto 1806 tutto il valore di Marie-Sophie Germain la quale, però, nelle sue prime lettere si era spacciata per un matematico uomo, Antoine-August Le Blanc.
Nell’epoca della tecno-scienza dominante, dopo i recenti film sul fisico Stephen Hawking, i matematici Alain Turing e Srinivasa Ramanujan, questo Diritto di contare non solo nella scienza delle donne, comincia a riempire un vuoto che sarebbe altrimenti divenuto una nuova forma di atavica discriminazione razziale e di genere.