La recensione di Giulia 3f del Liceo Mamiani

 

In 400 anni di vita, il personaggio di Amleto non ha mai smesso di affascinare il pubblico con la sua universalità, mettendo alla prova generazioni di interpreti. In tempi recenti, però, l’interesse per questo classico sembrava svanire, e l’Amleto rischiava di perdersi in un fiume di cliché e frasi a effetto: “To be or not to be, that is the question” è una formula che persino un bambino potrebbe riconoscere. Adesso a riportarlo in auge ci prova il National Theater di Londra, che affida il ruolo del principe di Danimarca uno degli attori più acclamati e dotati del momento: Benedict Cumberbatch. E’ lui stesso a definire l’Amleto uno scoglio contro il quale ogni grande attore deve prima o poi confrontarsi, e a dimostrare quanto questo personaggio possa essere sempre diverso pur rimanendo lo stesso. Ambientata in una reggia fuori dal tempo, in cui vecchio e nuovo si confondono, la tragedia forse più famosa (insieme a Romeo e Giulietta) di Shakespeare non perde il suo fascino originale, ma viene arricchita da effetti visivi e sonori eccezionali, da interpreti di altissimo livello e da dialoghi che sottolineano con toni talvolta alti, talvolta bassi i momenti ironici (sì, si ride anche) o drammatici della vicenda. L’Amleto di Cumberbatch è sempre più umano, nervoso, arrabbiato; la sua follia è ambigua, cresce sempre più e affiora a tratti, ma è così viva e tangibile da incombere sulla scena senza monopolizzarla. C’è però anche un altro personaggio che lentamente scivola nella follia, Ofelia, qui interpretata in maniera magistrale da Siân Brooke: una figura, se possibile, ancora più tragica di Amleto. Insicura riguardo la sincerità dei sentimenti provati da Amleto nei suoi confronti, alla morte di suo padre per mano dell’amato la ragazza perde il senno. L’interpretazione della Brooke rende perfettamente la condizione tragica della fanciulla, completamente vittima degli eventi. Le azioni altrui finiranno con il consumare quello che è l’animo più puro di tutti, impreparato ad affrontare una realtà troppo cruda. Accanto ad Amleto e Ofelia, anche gli altri personaggio acquistano il loro spessore, aiutati, nella versione cinematografica, anche da un uso spinto dei primi piani. Gran merito va alla regia di Lyndsey Turner: nonostante questo Amleto sia stato criticato da alcuni per la sua natura quasi “mista”, muovendosi tra un’impostazione teatrale e arricchimenti che ci aspetteremmo da una versione cinematografica, è proprio questa particolarità a rappresentarne il punto di forza. Di conseguenza, novità e tradizione si mescolano in un tutto dinamico, dove il testo è fedelmente rispettato senza cadere in trovate già viste, mentre la scenografia e i costumi sono frutto di un’attentissima cura formale. In conclusione, l’Amleto di Cumberbatch riempie le sale, restituendo freschezza a un principe ormai vecchio di quattro secoli.

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