Fuocoammare: capolavoro del cinema e del pensiero
Riccardo Tavani
I documentari di Gianfranco Rosi vincono i migliori Festival del Cinema internazionale. Vincono non nella Sezione Documentari, ma quali Miglior Film in assoluto di tutta la rassegna. Sacro Gra vince il Leone d’Oro a Venezia nel 2013. Ora Fuocoammare vince l’Orso d’Oro a Berlino 2016. Ho conosciuto Rosi nel 2012 al Salina Doc Festival, nel corso del quale è stato proiettato un altro suo magistrale documentario, girato a Benares, India, in due riprese, a distanza di quattro anni l’una dall’altra. Si tratta di Boatman, finito di montare nel 1993. Il regista a prua con la sua cinepresa e un barcaiolo che rema a poppa, in un limitato cerchio di mare che sembra, però, circoscrivere l’intero senso dell’universo. Un film di appena 56 minuti che andrebbe rimesso in qualche sala e fatto studiare in ogni scuola di cinema.
Fuocoammare prende il titolo sia da una canzone siciliana che ascoltiamo nel film, sia da ciò che non solo simbolicamente accade nel tratto di mare attorno a Lampedusa. Fuoco anche sulla pelle viva dei naufraghi che si intride e si ustiona del carburante che fuoriesce dagli scassati scafi che li trasportano. Fuoco sull’epidermide, gelo nelle ossa, sotto quei sottili metallici teli termici dorati dentro cui si avvolgono. . Spendo responsabilmente la parola “capolavoro” e non la limito al solo campo d’arte del cinema. La estendo a quella del pensiero, perché la forma alta delle immagini cinematografiche di Rosi esprime nella maniera più profonda e nello stesso tempo più trasparente il pensiero critico, filosofico di ciò che sta avvenendo su quell’estremo confine liquido dell’Europa che è l’isola di Lampedusa. Non c’è inchiesta televideo-giornalistica, trattato politico, antropologico, testimonianza diretta che sappia esprimere in maniera più intellettivamente sensibile il dramma umano che corre sul filo di quelle correnti. Siccome il film è stato presentato a Berlino, ossia nel cuore del continente, ora nessuno in Europa potrà dire: non sapevamo. Il divario tra l’essere l’entità geo-politica più estesa e ricca del pianeta e l’incapacità di elaborare un piano unitario per affrontarla dopo questo film appare ancora più insopportabile.
Per questo suo essere forma alta di pensiero nel modo delle immagini, Fuocoammare merita molto più che un premio cinematografico, seppure di prestigio come quello assegnatogli a Berlino. È un’opera che rientra ormai pienamente nella vicenda di Lampedusa e dei suoi abitanti. Gianfranco Rosi ha vissuto un anno tra i porto, gli scogli e gli scorci rocciosi dell’isola. Pietro Bartolo, il medico protagonista di tante guarigioni ma anche di troppo certificazioni cliniche di morte dei naufraghi, è stato anche il suo medico curante. I ragazzini che ritrai fuori e dentro le barche su quel cerchio di mare sono stati come i propri figli adottivi. Domani se all’isola italiana di Lampedusa – come a quella greca di Lesbo – sarà riconosciuto il Premio Nobel per la Pace, crediamo che in esso rientra pienamente Fuocoammare.