Una volta nella vita (Les Heretiers), di Marie-Castille Mention-Shaar, Francia 2014, 105 min.
Lezione di una prof all’Europa
Riccardo Tavani
Liceo Léon Blum di Créteil, città nella banlieue sud-est di Parigi. Una goccia d’Europa, ma una goccia che riflette tutto l’immenso cielo sopra di essa.
“L’Europa si presenta a noi con due volti. Uno, quello della discarica dei più complicati problemi dell’epoca, quali l’immigrazione. L’altro, quello delle grandi possibilità insite in essa”. Questa la definizione che il celebre sociologo e filosofo polacco Zygmund Bauman ha dato in una lectio magistralis tenuta all’Auditorium Parco della Musica di Roma, subito dopo le elezioni europee del 2014.
Esattamente tale doppia faccia presenta quel liceo francese, non solo nel film ma nella realtà, poiché si tratta di una storia vera. Al suo interno, una classe esplosiva – la seconda E – con più difficoltà culturali e sociali delle altre. La principale difficoltà è proprio la sua composizione multietnica. Tra veli, cappelli, simboli religiosi, violente intromissioni di alcuni ragazzi sul modo di vestire delle ragazze, aggressioni razziste, prof afferrate per il collo, e messe a tacere spalle al muro, zuffe e cori da stadio in classe, le/gli insegnanti devono far rispettare al massimo il regolamento teso a mantenere il carattere laico della scuola pubblica francese.
Anne Gueguen, professoressa di storia e letteratura, e coordinatrice del gruppo interclasse di storia dell’arte, decide di giocare la carta delle possibilità proprio là dove sembra più acuto l’aspetto della discarica di problemi irrisolvibili. Proprio a quella difficile, maledetta seconda propone di partecipare al concorso scolastico nazionale sulla resistenza e la deportazione.
Puntare sulle possibilità significa offrire delle possibilità di esprimersi a chi di solito non sono date. Molti insegnanti, compreso il preside, infatti, hanno già catalogato quella classe come irrecuperabile, una pura grana.
Anche la regista, nel realizzare il suo film, usa lo stesso metodo che la prof Gueguen ha usato nella realtà: dà una possibilità alle ragazze e ai ragazzi che lo interpretano, aiutandoli ad esprimersi in una recitazione sempre spontanea, dinamica, autentica. A uno dei ragazzi, Ahmed Dramé, oltre il ruolo di attore nella parte di Malik, offre anche di scrivere e firmare il copione, la sceneggiatura insieme a lei. Ahmed ha vinto il Premio César 2015, quale migliore attore ed è anche autore del libro Siamo tutti eccezioni.
Uno dei temi del film è quello del passaggio dalla frammentazione, contrapposizione, contrasto tra i vari gruppi, anche durante la ricerca, all’amalgama, alla sintesi, al mettere insieme le sensibilità e le potenzialità di ognuno. La prof – coadiuvata da un’altra insegnante – è tenace, paziente, ma su questo cruciale punto è netta, dice parole chiare e mette la classe di fronte a una responsabilità, a una scelta precisa.
Un discorso che è fatto una volta soltanto, anche perché, dal punto di vista cinematografico, certe cose più che con le parole si riesce a farle percepire con maggiore intensità attraverso le immagini. La regista ricorre a una tecnica di montaggio che incrocia continuamente, in maniera fluida, fusionale, i diversi piani di ripresa dei ragazzi. Dalle inquadrature di due, tre di loro, ai primi piani di uno, ai campi d’insieme, noi abbiamo la percezione di un lavoro di ricerca, composizione, formazione intellettuale e del carattere che irradia da una sintonia intrapersonale, che non annulla, ma esalta le potenzialità individuali, imparando innanzitutto ad imparare.
Proprio quello delle immagini è un altro tema del film. Perché in un’epoca e in una società disseminata di immagini e grandi, piccoli schermi la semplice e chiara lezione della prof Gueguen torna sempre utile all’Europa, dentro e fuori ogni aula scolastica.